
Figli di successo
“Datemi genitori migliori e vi darò un mondo migliore.”
Aldous Huxley
Quale che sia il successo che auguriamo ai nostri figli, è in ogni caso quello che loro raggiungeranno e che dovrebbe servire a dare loro soddisfazione.
Anche a noi genitori, ma solo come effetto cascata, come conseguenza del fatto che sono nostri figli e siamo felici per loro.
Spesso abbiamo incontrato bambini e ragazzi precocemente incanalati in un modo di affrontare la scuola, lo sport e le varie attività extrascolastiche non finalizzato al loro sviluppo e alla loro crescita fisica, intellettiva, emotiva e sociale.
Dovevano diventare i primi, o almeno qualcosa che desse soddisfazione ai genitori.
Che facesse acquistare riconoscimento e prestigio ai genitori.
Che facesse ottenere ai genitori, tramite i loro figli, qualcosa che per i più svariati motivi i genitori stessi non avevano ottenuto.
Se lui non va bene a scuola o non vince le gare sportive, io che figura ci faccio?
Quando iniziamo questo discorso, di solito i genitori ci dicono subito “io non sono di quelli!”. In effetti pochi sono quelli che si comportano così in maniera preordinata e in tutto quello che fanno, ma “lasciar andare” un figlio per una sua strada autonoma è qualcosa che facciamo un po’ tutti noi genitori con difficoltà, perché non è sempre facile capire dove finiscano la preoccupazione e l’accudimento e dove inizi il disinteresse, quale sia il limite che distingue tra aiuto-supporto e scarsa autonomia, tra vegliare-presidiare e imporre, anche se con strumenti addolciti. Il tutto mantenendo un caldo rapporto affettivo.
Ricordiamoci che l’influenza che abbiamo sui nostri figli non riguarda solo cosa diciamo loro o come ci comportiamo palesemente (dico “auguri!” e porgo un regalo), ma soprattutto ciò che facciamo senza rendercene conto (dico “auguri!” con un tono di voce frettoloso e mentre porgo il regalo sento la fatica che mi è costato l’essere qui in questo momento o penso che questo regalo debba servire a rivalutare me rispetto all’altro genitore o ad altri parenti e conoscenti).
Non importa se tengo per me i miei pensieri e le mie sensazioni, perché traspariranno a dispetto di ogni mio controllo.
In base alle idee che ci siamo fatti su come vanno le cose nella vita, tutti abbiamo delle “attese”. I nostri figli hanno attese sulla scuola e su di noi, gli insegnanti hanno attese sui loro allievi che sono i nostri figli, noi abbiamo attese su tutti loro.
Vale la pena di impegnarci a realizzare le attese, se non sono invece “profezie autoavverantesi”.
Se sono un genitore convinto che la scuola abbia poca utilità per una vita di successo, o che mio figlio non sia portato per la matematica, o che l’insegnante sia troppo severo, la questione non riguarda il fatto che si tratti di opinioni più o meno fondate o legittime. In base alle mie convinzioni, anche senza esserne esplicitamente consapevole, cercherò nelle situazioni elementi che confermino la mia idea. Coglierò, in mezzo a esempi di utilità della scuola, soprattutto quelli che la rivelano inutile, osserverò soprattutto elementi di difficoltà negli esercizi e nello studio della matematica, noterò molto di più i casi in cui l’insegnante è severo di quando non lo è. E mi comporterò di conseguenza, mandando messaggi in questo senso.
In questo modo “creerò una realtà” fatta di scuola inutile, matematica difficile, insegnanti severi.
Non cambio dei fatti (cosa impossibile) ma li organizzo e li catalogo come inutilità, difficoltà, severità. Questa è una profezia che si auto avvera.
E il primo, dopo di me, a cadere in questa trappola sarà proprio mio figlio.
Ecco perché è importante la cooperazione, ecco perché è così importante una relazione di qualità coi nostri figli (e con insegnanti ed educatori).
Se vogliamo sostenere i nostri figli:
- Dobbiamo costituire per loro un esempio significativo nei fatti e nei comportamenti, che mandano messaggi di maggiore impatto rispetto alle sole parole o discorsi e spiegazioni, che non sempre sono opportuni e che non sempre sono significativi, ancor più se i figli sono piccoli! Abbiamo conosciuto genitori che, per ogni situazione, si buttano in articolate e lunghe spiegazioni date a figli di tre anni… Si tratta di costituire per loro una guida -che nulla ha a che vedere con autoritarismo e dittatura- non di riempirli di argomentazioni logiche per nulla adatte a loro…anche se sono molto intelligenti e “capiscono tutto”. È vero, capiscono molto, ma per farlo usano metodi propri, non i nostri da adulti!
- Non possiamo sostituirci a loro bensì dobbiamo aiutarli ad allargare gli spazi in cui si muovono invece che recintarglieli e limitarli: per esempio la scuola è uno spazio che si affianca quello familiare, che non può e non deve essere gestito da noi e dove i nostri figli imparano a socializzare e a essere diversi da come sono a casa con noi. Se no, non serve…
- Dobbiamo investire su di loro (e non intendiamo denaro!) come persone, grazie al fatto che sono nostri figli. Investimento e fiducia non significano…essere creduloni, o non vedere la realtà, o esclamare “mio figlio?!?!… Impossibile!!! A casa è sempre così tranquillo! Non avrei mai potuto immaginare che a scuola… Certamente si sta sbagliando!” !!!
- Dobbiamo essere noi la bussola che indica la direzione: non si tratta di “comandare” … Se siamo in grado di imporre, permettere, vietare, negoziare, come abbiamo già detto in un precedente articolo, e di usare queste possibilità come strumenti da scegliere opportunamente, saremo noi a dare direzionalità ai nostri figli, a far sentire la nostra presenza affettuosa anche quando non siamo presenti fisicamente. Dobbiamo equilibrare autonomia e controllo: non lasciarli a se stessi, tanto ci fidiamo, e non marcarli strettamente, perché anche il minimo particolare deve corrispondere alla nostra idea…
- E dobbiamo diventare attenti e acuti osservatori di segnali deboli… Ma per questo occorre un discorso a sé e sarà un prossimo articolo!
Ileana Moretti e Vincenzo Palma – FormAti
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