Imporre, permettere, negoziare: strumenti da scegliere con cura

“Due cose importanti da insegnare ai figli: fare e fare senza.
Marceline Cox

Imporre, permettere e negoziare sono le parole che fin troppo spesso riassumono gran parte delle relazioni che i genitori hanno con i propri figli.

Strumenti da scegliere

La questione non è tanto se permettere o no, se imporre o no, bensì come, quando, quanto, a quale scopo… Imporre, permettere, negoziare sono strumenti, quindi dobbiamo considerare le loro funzionalità e le loro occasioni d’uso piuttosto che la loro validità “in assoluto”. Quindi non o imporre, o permettere, o negoziare, ma alternativamente tutte e tre, in base alla situazione e all’obiettivo.

Anche il genitore che non ama affatto imporre, vedendo un bambino piccolo che sta per attraversare da solo una strada molto trafficata, usa l’imposizione per trattenerlo e lo fa senza problemi anche se non è suo figlio. Non è certo amore per la coercizione, ma amore per l’incolumità.

Imporre, permettere, negoziare diventano quindi per i genitori strumenti relazionali utili per raggiungere gli obiettivi che riguardano la crescita dei figli. Ne consegue la responsabilità di scegliere lo strumento adatto per un determinato momento e per ciascun contesto.

Spesso confondiamo la negoziazione cooperativa con il compromesso mercanteggiante: occorre riflettere sulle differenze tra questi due orientamenti e sulle conseguenze che sviluppano e occorre imparare a distinguerli. Possiamo riparlarne…

Guidare

Guidare, accompagnare i figli nella loro crescita personale e scolastica è un’attività continua che non gode di alcun periodo di vacanza per i genitori. Per risolvere l’amletico dilemma “imporre o non imporre?” occorre prima di tutto rendere esplicite e chiare le aspettative.

Per esempio, se ci riferiamo alla scuola: a cosa serve? In che modo potrà essere utile? Cosa è necessario fare per ottenere dei risultati? A quali criteri vogliamo fare riferimento? “Finisci tutti i compiti” non è tanto un’imposizione da parte del genitore, è soprattutto un’esigenza scolastica e di apprendimento per tutta la vita.

Invece: “Gli ho imposto di frequentare il liceo scientifico, perché è il migliore” esprime una scelta operata dal genitore e non altrettanto condivisa dal figlio. Fa sorgere una serie di dubbi sulla relazione che intercorre tra quel figlio e quel genitore, sugli obiettivi e l’opportunità di tale scelta oltre che, naturalmente, sulle conseguenze.

In ogni relazione-comunicazione il modo in cui ci predisponiamo è determinante ai fini del risultato, molto più delle parole usate. Se consideriamo imporre come una manifestazione del nostro potere, della nostra superiorità di ruolo, il risultato che otterremo potrà essere solo un deterioramento della relazione: il figlio si sentirà svalutato, considerato inferiore, limitato, carente. Presto sentiremo il genitore lamentarsi: “Mio figlio è un insicuro…, è un menefreghista…, si lascia trascinare dal gruppo!”

Finire tutti i compiti perché ciò fa parte del lavoro scolastico, perché serve per prendere un bel voto, per imparare perché questo è fondamentale nel lavoro e nella vita, è diverso che finire tutti i compiti perché “te lo dico io e perché voglio così e ho potere su di te, tanto che tu lo voglia o no dipendi da me”. Svolgere tutti i compiti a noi genitori può sembrare ovvio e scontato, ma -se anche lo fosse- non implica automaticamente che sia altrettanto ovvio e scontato per i nostri figli.

Lo smartphone: imporre/permettere

Lo smartphone è un grande strumento, utile in tante circostanze.

Intanto i genitori devono pensare a quali siano le circostanze utili: rintracciare nostro figlio nelle ore in cui è a scuola e in classe o dai nonni non è particolarmente utile… Se non abbiamo la geolocalizzazione, non è utile neppure per sapere dove si trova: “sono con Paola” …forse… Meglio la buona vecchia abitudine di lavorare sulla relazione fra noi e loro, e sulle nostre capacità di osservazione. Anche qui si può aprire un vasto capitolo…

Se noi usiamo lo smartphone a sproposito, i nostri figli impareranno da noi a usarlo a sproposito… Se siamo con loro (per esempio li stiamo accompagnando a scuola o stiamo andando a fare la spesa, al Rugby, dai nonni) e usiamo questo tempo per rispondere e messaggiare, invece che per parlare con loro, anche i nostri figli impareranno a sacrificare le persone per la tecnologia…

Ecco alcune proposte che vi aiuteranno a riflettere, per compiere le vostre scelte rispetto all’uso dello smartphone da parte dei figli

1. Insegnare a usare lo smartphone (non dal punto di vista tecnologico) può essere una grande opportunità educativa

2. Uso autonomo dagli 11 anni e mai prima

3. Proprietà del genitore che lo presta al figlio (anche quello che i nonni gli regalano!!!)

4. Codici di accesso stabiliti assieme; periodico controllo da parte del genitore

5. Forte limitazione nell’uso dei social soprattutto all’inizio

6. Insegnare a non postare nulla di personale: inutile illudersi, perché certe cose non si cancellano mai più!

7. Prima di scaricare App, insegnare a leggere le recensioni per riconoscere se sono fatte per carpire dati o per facilitare relazioni che noi non vorremmo mai per i nostri figli

8. Inserire impostazioni che permettono di limitare la quantità di uso giornaliero

9. Periodicamente fare con il figlio un check e un riepilogo della situazione, dell’uso che ne viene fatto, del materiale postato… Non una predica, bensì una collaborazione.

Inutile negarlo: i nostri figli sono e saranno più bravi di noi in questo utilizzo.

Ma noi siamo i genitori, abbiamo un’esperienza e una maturità che loro non hanno: non facciamoci incantare e non abbandoniamo i nostri figli nelle mani di uno smartphone!!!

Ileana Moretti e Vincenzo Palma – FormAti

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