Quale tipo di aiuto per la scuola

“Non basta mandare i figli a scuola, bisogna accompagnarli sulla via degli studi, bisogna costruire giorno per giorno in essi la consapevolezza che a scuola si va non per conquistare un titolo, ma per prepararsi alla vita.”
Giovanni Leone

Quale tipo di aiuto?

Quello che affianca e non quello che sostituisce.

In amore, in guerra … e a scuola, tutto è possibile! Potrebbe anche esserci un valido motivo per tradurre direttamente voi il brano di latino di vostro figlio. (Per una volta! Se succede altre volte è il caso di porsi qualche domanda.) Il genitore che si sovrappone al figlio, che detta le frasi per terminare il tema o la moltiplicazione per risolvere il problema e che lo fa abitualmente, non sta aiutando il figlio. Ostacola lo sviluppo della sua autonomia (dirgli “sii autonomo!” non serve a nulla…) e gli manda un messaggio del tipo: “Non te la sai cavare da solo senza di me” Oppure: “Non mi posso fidare abbastanza di te”.

Può darsi che il figlio si rallegri del compito terminato rapidamente e con poco dispendio di energie, ma questo “gioco” implica almeno due rischi:

I. Questa attività diventa abituale, un “dovere del genitore”, una forma di dipendenza (reciproca!); con la conseguenza di rendere difficile e poco piacevole la relazione personale tra genitore e figlio e invadente la relazione con la scuola. Troppi genitori hanno un secondo lavoro, che è quello di fare i compiti e studiare coi figli! Noi genitori abbiamo ben altri modi e ben altre opportunità per dare amore.

II. Il vostro modo di imparare è un modo “adulto”, messo a punto attraverso un lungo apprendimento scolastico, personale e professionale; usandolo, togliete a vostro figlio la possibilità di crearsi il suo modo di imparare. Lo studente che non si è creato un modo personale di studiare e apprendere, efficace per lui, sarà sempre più svantaggiato con l’aumentare dell’impegno richiesto dai successivi anni scolastici. E dal suo lavoro, una volta divenuto adulto.

Aiutate vostro figlio a trovare il suo metodo di studio e il suo modo efficace di prestare attenzione alle lezioni, soprattutto a quelle insipide o che gli sembrano tali. Sarà per lui un utile apprendimento e una grande opportunità. Il vostro modo è utile per voi, non per lui, quindi appiccicarglielo crea difficoltà, non aiuto.

Quello che serve di più a un alunno di scuola elementare che non è stato abbastanza attento in classe, non è recuperare la lezione persa, ma che impari a stare attento. Se un insuccesso nella successiva verifica può aiutarlo a capire che deve stare attento, ben venga! La mamma che rincorre l’insegnante o i compagni per poter poi spiegare lei al figlio quello che lui non ha ascoltato a scuola, non lo sta aiutando. Il discorso cambia per uno studente di scuola superiore. Qui l’insuccesso in una verifica potrebbe essere un prezzo troppo alto da pagare. Ecco perché bisognava pensarci prima!

A volte crea confusione seguire un metodo a scuola (la modalità dell’insegnante) e uno diverso a casa (la modalità del genitore), soprattutto nei primi anni di studio: mette il bambino nella condizione di non capire come fare e di credere che esista una classifica, insegnante batte genitore o genitore batte insegnante. In realtà questo comporta che perdano in tre: genitore, insegnante e figlio/a!

Aiutatelo a relazionarsi con i diversi insegnanti che hanno caratteri diversi, senza sottrarlo ai giudizi che ne riceverà, se non volete ergervi a unico punto di riferimento nella vita di vostro figlio. Siete dalla sua parte perché lo aiutate a gestire la relazione (facile o difficile che sia, giusta o ingiusta che possa sembrare) e non perché vi interponete nella relazione tra la scuola e gli insegnanti da una parte e vostro figlio dall’altra. I risultati scolastici di vostro figlio sono semplicemente uno dei dati della sua vita, ma non sono mai una valutazione su quanto voi siete bravi genitori né un modo per fare bella figura in società…

Aiutatelo a gestire la sua relazione con i giudizi che riceve, se vi sembra che siano per lui troppo difficili da capire e da accettare. Ma non eliminate, filtrate o ammorbidite i giudizi, perché gli state rendendo un pessimo servizio, pur se fatto con l’intenzione più affettuosa. Anche i giudizi che ci sembrano sbagliati ci stanno dicendo qualcosa di importante, forse da accettare, forse da rifiutare, ma solo dopo averli presi seriamente in considerazione e correttamente interpretati.

Non permettete che i giudizi sulle prestazioni (interrogazioni, compiti, verifiche, elaborati, ecc.) si trasferiscano alla persona. “Hai fatto un lavoro davvero penoso!” è profondamente diverso da: “Fai proprio pena!”. Vale anche per i giudizi positivi. Un “Bravo!” o anche un “Sei proprio un genio!” quando sono esclamazioni che esprimono gioia e soddisfazione, possono andare bene. Ma se assumono il significato di giudizi sulla persona (“Sei stato all’altezza della tua intelligenza!”) creano ansia (“DEVO essere sempre all’altezza della mia intelligenza”) e introducono il dubbio (“Altrimenti non mi ameranno più?”). Non lo state invece aiutando quando gli impedite di incontrarsi con le conseguenze delle sue azioni; quando filtrate per lui la realtà in modo da renderla rosea, morbida e levigata.

Le strade sono di tutti i tipi: in salita, in discesa, con curve, sconnesse o acciottolate o dritte e larghe. Essere sempre pronti a sostenere è diverso da sostenere sempre. Potete insegnargli a camminare e a orientarsi, ma non potete percorrere la sua strada al suo posto!

In italiano il maschile indica sia persone maschili che femminili quando il termine ha un senso generale e non specifico. Quindi usiamo “figlio” e “allievo” intendendo parimenti figlie e figli, allieve e allievi, col solo scopo di non rendere pesante la lettura, scrivendo ogni volta “figlio/a” e simili.

Ileana Moretti e Vincenzo Palma – FormAti

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